Italian Review of Legal History (Dec 2019)

Infanzia sospesa tra vita e morte. Teologia e diritto intorno al destino dei bambini morti senza battesimo

  • Cristina Ciancio

DOI
https://doi.org/10.13130/2464-8914/12615
Journal volume & issue
no. 5

Abstract

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Al dolore lacerante che colpisce un genitore e tutta la comunità dinanzi alla perdita di un bambino, la coscienza cristiana e le istituzioni che ha espresso si sono dovute a lungo confrontare con un altro dramma nel dramma, che poteva colpire laddove i piccoli fossero deceduti prima di ricevere il battesimo. Vale a dire prima di ricevere quel sacramento ritenuto necessario a mondarli dal peccato originale e così garantire loro l’accoglienza nella Chiesa e la salvezza dell’anima. In assenza di questo sacramento era preclusa per questi piccoli la sepoltura in terra consacrata, nonché la possibilità per genitori e familiari di dedicare preghiere e liturgie in suffragio della loro anima, cercando così di consolarsi su un loro destino di beatitudine. A partire dal XIII secolo la dottrina tomistica del limbus puerorum, mai esistita come dogma della Chiesa, descrivendo un luogo intermedio cui accedevano le anime di questi bambini cercò di attenuare la severità dell’interpretazione agostiniana che non prevedeva alternative alla dannazione dell’Inferno per chi non fosse stato purificato con il battesimo. Non si riuscì, però, a risolvere le non poche problematiche per il continuo potenziale conflitto tra idee diffuse di giustizia e misericordia e le necessità di coerenza e controllo dell’organizzazione anche materiale della società cristiana che questa dottrina continuava a provocare. Il divieto di sepoltura in terra consacrata restava intatto e così l’esclusione dalla visione beatifica di Dio. Le fonti e i dibattiti ci restituiscono i tratti di una secolare difficoltà da parte della Chiesa occidentale e delle sue istituzioni a dare un assetto stabile e definitivo al problema della morte senza battesimo e a tutte le sue implicazioni anche giuridiche. Queste ultime apparvero da subito numerose, così come numerose furono quelle medico legali che con il tempo si continuarono ad intrecciare in questo dibattito. Il battesimo è stato per secoli anche il primo momento in cui le nascite venivano registrate, ed un suo ritardo o assenza potevano implicare la possibilità di occultarle e, di conseguenza, occultare anche eventuali infanticidi. La massiccia campagna di sensibilizzazione rivolta a parroci, levatrici e da un certo momento in poi anche accouchers e chirurghi affinché impartissero senza esitazioni il battesimo nei parti difficili in cui era a rischio la sopravvivenza del bambino, avviata con particolare veemenza dalle gerarchie ecclesiastiche dopo la Controriforma, aveva portato ad un dibattito sul parto cesareo ed altre pratiche mediche potenzialmente omicide per la madre in cui il bilanciamento tra il diritto alla vita ed alla salute della madre e quello speculare del feto impegnarono a lungo i giuristi quanto i teologi e i medici. Tra i tentativi di dare risposte a genitori e comunità incapaci di accettare la mancata salvezza per le anime di piccoli che non avevano potuto compiere alcun peccato, si diffuse la controversa credenza nei miracoli dei santuari del “répit”, o della “doppia morte”. Luoghi in cui secondo alcune tradizioni locali, i bambini morti senza battesimo, grazie alle intense preghiere condotte da donne devote o eremiti, potevano “resuscitare” per il breve tempo necessario ad impartire loro il sacramento, dopo il quale morivano definitivamente nella grazia divina. Un miracolo molto contestato dalla Chiesa ma che consentiva ai genitori affranti di ritornare alle proprie comunità con attestati, spesso redatti con tutte le formalità dai notai del luogo, che certificavano l’avvenuto risveglio, il conseguente battesimo, e il nuovo decesso, documenti che consentivano la regolare sepoltura ecclesiastica dei piccoli e l’assicurazione a tutta la collettività che i familiari avevano fatto ogni cosa in loro potere per ricongiungersi con i propri bambini nell’aldilà.

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