IANUS Diritto e Finanza (Jun 2024)

Credere is credit and creed: trust, money, and religion in western and islamic finance

  • Valentino Cattelan

Journal volume & issue
no. 29
pp. 97 – 121

Abstract

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Credere (‘aver fede’, ‘aver fiducia’ in latino) definisce l’essenza sia del danaro che della religione. Se avere fiducia in qualcuno comporta dargli/le credito personale/economico, credere in Dio coinvolge la fede nella salvezza ultraterrena. Entrambe queste relazioni riflettono la fiducia che ciò che è stato prestato verrà restituito; quello che è stato rettamente investito sarà moltiplicato. Inoltre, così come ogni vicenda di credito è una storia di rischio ed incertezza (i debitori possono non riuscire a restituire il danaro e le istituzioni di credito, alla fin dei conti, sono sempre gestori di rischio), ogni vicenda di fede è una storia di speranza nella redenzione e nella grazia, che va chiaramente oltre il controllo umano – cosicché l’incertezza qui riappare di nuovo. L’originalità di questo saggio sta nella comprensione della moneta in connessione alla fede religiosa. A tale scopo, lo scritto adotta un approccio comparativo sulla nozione di fiducia (credere) nella finanza occidentale ed islamica, e come essa modelli diversamente l’interazione tra moneta (credito) e religione (fede) nelle loro economie morali. Partendo dalla relazioni tra credere (‘aver fiducia’) e credito che interconnette finanza, economia, moralità, e religione come se fossero gli angoli di un ‘aquilone del danaro’ (sezione 1), il saggio si addentra sugli sfondi teologici della finanza occidentale ed islamica, così da interpretarne i modelli alternativi di gestione del credito e del rischio (capitalismo su base di interesse pecuniario vs condivisione del rischio, mutualità, e cooperazione) come manifestazioni specifiche dei loro rispettivi credi religiosi, anche in relazione alla natura degli investimenti di impatto sociale (sezioni 2, 3 e 4). Per concludere la discussione, considerazioni finali sono proposte sulla relazione tra fiducia, danaro e religione secondo le linee interpretative di Weber sul capitalismo e nella concettualizzazione della finanza islamica, e come esse testimonino la persistenza di una cultura di differenziazione della modernità (sezione 5). / 𝐶𝑟𝑒𝑑𝑒𝑟𝑒 (‘𝑡𝑜 𝑏𝑒𝑙𝑖𝑒𝑣𝑒’, ‘𝑡𝑜 𝑡𝑟𝑢𝑠𝑡’ 𝑖𝑛 𝑡ℎ𝑒 𝐿𝑎𝑡𝑖𝑛 𝑙𝑎𝑛𝑔𝑢𝑎𝑔𝑒) 𝑑𝑒𝑓𝑖𝑛𝑒𝑠 𝑡ℎ𝑒 𝑒𝑠𝑠𝑒𝑛𝑐𝑒 𝑏𝑜𝑡ℎ 𝑜𝑓 𝑚𝑜𝑛𝑒𝑦 𝑎𝑛𝑑 𝑟𝑒𝑙𝑖𝑔𝑖𝑜𝑛. 𝐼𝑓 𝑡𝑟𝑢𝑠𝑡𝑖𝑛𝑔 𝑠𝑜𝑚𝑒𝑜𝑛𝑒 𝑚𝑒𝑎𝑛𝑠 𝑔𝑖𝑣𝑖𝑛𝑔 𝑡ℎ𝑒𝑚 𝑝𝑒𝑟𝑠𝑜𝑛𝑎𝑙/𝑒𝑐𝑜𝑛𝑜𝑚𝑖𝑐 𝑐𝑟𝑒𝑑𝑖𝑡, 𝑏𝑒𝑙𝑖𝑒𝑣𝑖𝑛𝑔 𝑖𝑛 𝐺𝑜𝑑 𝑖𝑛𝑣𝑜𝑙𝑣𝑒𝑠 𝑓𝑎𝑖𝑡ℎ 𝑖𝑛 𝑎𝑓𝑡𝑒𝑟𝑙𝑖𝑓𝑒 𝑠𝑎𝑙𝑣𝑎𝑡𝑖𝑜𝑛. 𝐵𝑜𝑡ℎ 𝑡ℎ𝑒𝑠𝑒 𝑟𝑒𝑙𝑎𝑡𝑖𝑜𝑛𝑠 𝑟𝑒𝑓𝑙𝑒𝑐𝑡 𝑡ℎ𝑒 𝑡𝑟𝑢𝑠𝑡 𝑡ℎ𝑎𝑡 𝑤ℎ𝑎𝑡 ℎ𝑎𝑠 𝑏𝑒𝑒𝑛 𝑙𝑒𝑛𝑡 𝑤𝑖𝑙𝑙 𝑏𝑒 𝑟𝑒𝑡𝑢𝑟𝑛𝑒𝑑; 𝑤ℎ𝑎𝑡 ℎ𝑎𝑠 𝑏𝑒𝑒𝑛 𝑟𝑖𝑔ℎ𝑡𝑒𝑜𝑢𝑠𝑙𝑦 𝑖𝑛𝑣𝑒𝑠𝑡𝑒𝑑 𝑤𝑖𝑙𝑙 𝑏𝑒 𝑚𝑢𝑙𝑡𝑖𝑝𝑙𝑖𝑒𝑑. 𝑀𝑜𝑟𝑒𝑜𝑣𝑒𝑟, 𝑗𝑢𝑠𝑡 𝑎𝑠 𝑎𝑛𝑦 𝑠𝑡𝑜𝑟𝑦 𝑜𝑓 𝑐𝑟𝑒𝑑𝑖𝑡 𝑖𝑠 𝑎 𝑠𝑡𝑜𝑟𝑦 𝑜𝑓 𝑟𝑖𝑠𝑘 𝑎𝑛𝑑 𝑢𝑛𝑐𝑒𝑟𝑡𝑎𝑖𝑛𝑡𝑦 (𝑑𝑒𝑏𝑡𝑜𝑟𝑠 𝑚𝑎𝑦 𝑛𝑜𝑡 𝑏𝑒 𝑎𝑏𝑙𝑒 𝑡𝑜 𝑟𝑒𝑡𝑢𝑟𝑛 𝑚𝑜𝑛𝑒𝑦, 𝑎𝑛𝑑 𝑐𝑟𝑒𝑑𝑖𝑡 𝑖𝑛𝑠𝑡𝑖𝑡𝑢𝑡𝑖𝑜𝑛𝑠 𝑎𝑟𝑒 𝑎𝑙𝑤𝑎𝑦𝑠, 𝑎𝑓𝑡𝑒𝑟 𝑎𝑙𝑙, 𝑟𝑖𝑠𝑘 𝑚𝑎𝑛𝑎𝑔𝑒𝑟𝑠), 𝑎𝑛𝑦 𝑠𝑡𝑜𝑟𝑦 𝑜𝑓 𝑓𝑎𝑖𝑡ℎ 𝑖𝑠 𝑎 𝑠𝑡𝑜𝑟𝑦 𝑜𝑓 ℎ𝑜𝑝𝑒 𝑖𝑛 𝑟𝑒𝑑𝑒𝑚𝑝𝑡𝑖𝑜𝑛 𝑎𝑛𝑑 𝑔𝑟𝑎𝑐𝑒, 𝑤ℎ𝑖𝑐ℎ 𝑐𝑙𝑒𝑎𝑟𝑙𝑦 𝑔𝑜𝑒𝑠 𝑏𝑒𝑦𝑜𝑛𝑑 ℎ𝑢𝑚𝑎𝑛 𝑐𝑜𝑛𝑡𝑟𝑜𝑙 – ℎ𝑒𝑛𝑐𝑒, 𝑢𝑛𝑐𝑒𝑟𝑡𝑎𝑖𝑛𝑡𝑦 ℎ𝑒𝑟𝑒 𝑟𝑒𝑎𝑝𝑝𝑒𝑎𝑟𝑠 𝑎𝑔𝑎𝑖𝑛. 𝑇ℎ𝑒 𝑜𝑟𝑖𝑔𝑖𝑛𝑎𝑙𝑖𝑡𝑦 𝑜𝑓 𝑡ℎ𝑖𝑠 𝑎𝑟𝑡𝑖𝑐𝑙𝑒 𝑙𝑖𝑒𝑠 𝑖𝑛 𝑡ℎ𝑒 𝑢𝑛𝑑𝑒𝑟𝑠𝑡𝑎𝑛𝑑𝑖𝑛𝑔 𝑜𝑓 𝑚𝑜𝑛𝑒𝑦 𝑎𝑠 𝑐𝑜𝑛𝑛𝑒𝑐𝑡𝑒𝑑 𝑡𝑜 𝑟𝑒𝑙𝑖𝑔𝑖𝑜𝑢𝑠 𝑏𝑒𝑙𝑖𝑒𝑓. 𝐹𝑜𝑟 𝑡ℎ𝑖𝑠 𝑝𝑢𝑟𝑝𝑜𝑠𝑒, 𝑖𝑡 𝑡𝑎𝑘𝑒𝑠 𝑎 𝑐𝑜𝑚𝑝𝑎𝑟𝑎𝑡𝑖𝑣𝑒 𝑝𝑒𝑟𝑠𝑝𝑒𝑐𝑡𝑖𝑣𝑒 𝑜𝑛 𝑡ℎ𝑒 𝑛𝑜𝑡𝑖𝑜𝑛 𝑜𝑓 𝑡𝑟𝑢𝑠𝑡 (𝑐𝑟𝑒𝑑𝑒𝑟𝑒) 𝑖𝑛 𝑊𝑒𝑠𝑡𝑒𝑟𝑛 𝑎𝑛𝑑 𝐼𝑠𝑙𝑎𝑚𝑖𝑐 𝑓𝑖𝑛𝑎𝑛𝑐𝑒, 𝑎𝑛𝑑 ℎ𝑜𝑤 𝑡𝑟𝑢𝑠𝑡 𝑑𝑖𝑓𝑓𝑒𝑟𝑒𝑛𝑡𝑙𝑦 𝑠ℎ𝑎𝑝𝑒𝑠 𝑡ℎ𝑒 𝑖𝑛𝑡𝑒𝑟𝑎𝑐𝑡𝑖𝑜𝑛 𝑏𝑒𝑡𝑤𝑒𝑒𝑛 𝑚𝑜𝑛𝑒𝑦 (𝑐𝑟𝑒𝑑𝑖𝑡) 𝑎𝑛𝑑 𝑟𝑒𝑙𝑖𝑔𝑖𝑜𝑛 (𝑓𝑎𝑖𝑡ℎ) 𝑖𝑛 𝑡ℎ𝑒𝑖𝑟 𝑚𝑜𝑟𝑎𝑙 𝑒𝑐𝑜𝑛𝑜𝑚𝑖𝑐𝑠. 𝑀𝑜𝑣𝑖𝑛𝑔 𝑓𝑟𝑜𝑚 𝑡ℎ𝑒 𝑟𝑒𝑙𝑎𝑡𝑖𝑜𝑛𝑠ℎ𝑖𝑝 𝑏𝑒𝑡𝑤𝑒𝑒𝑛 𝑐𝑟𝑒𝑑𝑒𝑟𝑒 (‘𝑡𝑜 𝑡𝑟𝑢𝑠𝑡’) 𝑎𝑛𝑑 𝑐𝑟𝑒𝑑𝑖𝑡 𝑡ℎ𝑎𝑡 𝑖𝑛𝑡𝑒𝑟𝑐𝑜𝑛𝑛𝑒𝑐𝑡𝑠 𝑓𝑖𝑛𝑎𝑛𝑐𝑒, 𝑒𝑐𝑜𝑛𝑜𝑚𝑖𝑐𝑠, 𝑚𝑜𝑟𝑎𝑙𝑖𝑡𝑦, 𝑎𝑛𝑑 𝑟𝑒𝑙𝑖𝑔𝑖𝑜𝑛 𝑎𝑠 𝑖𝑓 𝑡ℎ𝑒𝑦 𝑤𝑒𝑟𝑒 𝑡ℎ𝑒 𝑐𝑜𝑟𝑛𝑒𝑟𝑠 𝑜𝑓 𝑎 ‘𝑚𝑜𝑛𝑒𝑦 𝑘𝑖𝑡𝑒’ (𝑠𝑒𝑐𝑡𝑖𝑜𝑛 1), 𝑡ℎ𝑒 𝑎𝑟𝑡𝑖𝑐𝑙𝑒 𝑑𝑒𝑙𝑣𝑒𝑠 𝑖𝑛𝑡𝑜 𝑡ℎ𝑒 𝑡ℎ𝑒𝑜𝑙𝑜𝑔𝑖𝑐𝑎𝑙 𝑏𝑎𝑐𝑘𝑔𝑟𝑜𝑢𝑛𝑑𝑠 𝑜𝑓 𝑊𝑒𝑠𝑡𝑒𝑟𝑛 𝑎𝑛𝑑 𝐼𝑠𝑙𝑎𝑚𝑖𝑐 𝑓𝑖𝑛𝑎𝑛𝑐𝑒, 𝑠𝑜 𝑡𝑜 𝑖𝑛𝑡𝑒𝑟𝑝𝑟𝑒𝑡 𝑡ℎ𝑒𝑖𝑟 𝑎𝑙𝑡𝑒𝑟𝑛𝑎𝑡𝑖𝑣𝑒 𝑚𝑜𝑑𝑒𝑙𝑠 𝑜𝑓 𝑐𝑟𝑒𝑑𝑖𝑡 𝑎𝑛𝑑 𝑟𝑖𝑠𝑘 𝑚𝑎𝑛𝑎𝑔𝑒𝑚𝑒𝑛𝑡 (𝑖𝑛𝑡𝑒𝑟𝑒𝑠𝑡-𝑏𝑎𝑠𝑒𝑑 𝑐𝑎𝑝𝑖𝑡𝑎𝑙𝑖𝑠𝑚 𝑣𝑠 𝑟𝑖𝑠𝑘-𝑠ℎ𝑎𝑟𝑖𝑛𝑔, 𝑚𝑢𝑡𝑢𝑎𝑙𝑖𝑡𝑦, 𝑎𝑛𝑑 𝑐𝑜𝑜𝑝𝑒𝑟𝑎𝑡𝑖𝑜𝑛) 𝑎𝑠 𝑠𝑝𝑒𝑐𝑖𝑓𝑖𝑐 𝑚𝑎𝑛𝑖𝑓𝑒𝑠𝑡𝑎𝑡𝑖𝑜𝑛𝑠 𝑜𝑓 𝑡ℎ𝑒𝑖𝑟 𝑟𝑒𝑠𝑝𝑒𝑐𝑡𝑖𝑣𝑒 𝑟𝑒𝑙𝑖𝑔𝑖𝑜𝑢𝑠 𝑐𝑟𝑒𝑒𝑑𝑠, 𝑎𝑙𝑠𝑜 𝑖𝑛 𝑟𝑒𝑙𝑎𝑡𝑖𝑜𝑛 𝑡𝑜 𝑡ℎ𝑒 𝑛𝑎𝑡𝑢𝑟𝑒 𝑜𝑓 𝑠𝑜𝑐𝑖𝑎𝑙𝑙𝑦 𝑜𝑟𝑖𝑒𝑛𝑡𝑒𝑑 𝑖𝑛𝑣𝑒𝑠𝑡𝑚𝑒𝑛𝑡𝑠 (𝑠𝑒𝑐𝑡𝑖𝑜𝑛𝑠 2, 3 𝑎𝑛𝑑 4). 𝑇𝑜 𝑐𝑜𝑛𝑐𝑙𝑢𝑑𝑒 𝑡ℎ𝑒 𝑑𝑖𝑠𝑐𝑢𝑠𝑠𝑖𝑜𝑛, 𝑓𝑖𝑛𝑎𝑙 𝑐𝑜𝑛𝑠𝑖𝑑𝑒𝑟𝑎𝑡𝑖𝑜𝑛𝑠 𝑎𝑟𝑒 𝑝𝑟𝑜𝑝𝑜𝑠𝑒𝑑 𝑜𝑛 𝑡ℎ𝑒 𝑟𝑒𝑙𝑎𝑡𝑖𝑜𝑛𝑠ℎ𝑖𝑝 𝑏𝑒𝑡𝑤𝑒𝑒𝑛 𝑡𝑟𝑢𝑠𝑡, 𝑚𝑜𝑛𝑒𝑦, 𝑎𝑛𝑑 𝑟𝑒𝑙𝑖𝑔𝑖𝑜𝑛 𝑎𝑐𝑐𝑜𝑟𝑑𝑖𝑛𝑔 𝑡𝑜 𝑊𝑒𝑏𝑒𝑟’𝑠 𝑖𝑛𝑡𝑒𝑟𝑝𝑟𝑒𝑡𝑖𝑣𝑒 𝑜𝑢𝑡𝑙𝑖𝑛𝑒 𝑜𝑓 𝑐𝑎𝑝𝑖𝑡𝑎𝑙𝑖𝑠𝑚 𝑎𝑛𝑑 𝑖𝑛 𝐼𝑠𝑙𝑎𝑚𝑖𝑐 𝑓𝑖𝑛𝑎𝑛𝑐𝑒 𝑐𝑜𝑛𝑐𝑒𝑝𝑡𝑢𝑎𝑙𝑖𝑠𝑎𝑡𝑖𝑜𝑛, 𝑎𝑛𝑑 ℎ𝑜𝑤 𝑡ℎ𝑒𝑦 𝑡𝑒𝑠𝑡𝑖𝑓𝑦 𝑡𝑜 𝑡ℎ𝑒 𝑝𝑒𝑟𝑠𝑖𝑠𝑡𝑒𝑛𝑐𝑒 𝑜𝑓 𝑎 𝑑𝑖𝑓𝑓𝑒𝑟𝑒𝑛𝑡𝑖𝑎𝑡𝑖𝑜𝑛 𝑐𝑢𝑙𝑡𝑢𝑟𝑒 𝑜𝑓 𝑚𝑜𝑑𝑒𝑟𝑛𝑖𝑡𝑦 (𝑠𝑒𝑐𝑡𝑖𝑜𝑛 5).

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