Farmeconomia: Health Economics and Therapeutic Pathways (May 2023)

HTA dei dispositivi di controllo urinario artificiale per il trattamento dell’incontinenza urinaria maschile grave post-prostatectomia

  • Francesco Mennini,
  • Daniele Rossi,
  • Andrea Marcellusi

DOI
https://doi.org/10.7175/fe.v24i2S.1546
Journal volume & issue
Vol. 24, no. 2S

Abstract

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L’incontinenza urinaria (IU) è un sintomo frequente a seguito di prostatectomia radicale per carcinoma della prostata, dal momento che interessa quote elevate di pazienti, che variano a seconda della definizione, delle tempistiche di valutazione, dell’approccio chirurgico e di chi effettua la rilevazione e che possono anche superare l’80% dei pazienti [1]. Nella maggior parte dei casi, il problema si risolve a distanza di un anno. Tuttavia, l’incontinenza permane anche dopo 12 mesi in una quota non trascurabile di pazienti, che varia a seconda delle statistiche e che si attesta intorno a percentuali pari al 10% [1]. L’IU, oltre a rappresentare un problema di tipo igienico e sociale, compromette fortemente la qualità della vita del soggetto che, dopo aver superato il trauma e la paura della patologia oncologica, vive sentimenti di perdita di autostima, associati ad alterazioni nelle relazioni familiari, sociali e nel rapporto col partner, che interessano anche la vita lavorativa [2,3]. Il tavolo tecnico sull’incontinenza – istituito presso il Ministero della Salute – ha definito un percorso basato su evidenze cliniche, che risponde alla necessità di prendersi cura del paziente con IU dopo chirurgia prostatica [4]. Tra le diverse criticità rilevate sul territorio nazionale, emerge il mancato accesso alla terapia chirurgica dell’IU, che non viene proposta perché non effettuata nel centro di cura oncologica, per la limitata proposta di soluzioni terapeutiche offerte al paziente dal chirurgo e per la limitata disponibilità di presidi chirurgici, anche in relazione ai costi. Nel caso dell’IU da sforzo da incompetenza sfinterica dopo prostatectomia radicale, l’opzione dello sfintere urinario artificiale (AUS) rimane il gold standard per l’IU moderata-grave (raccomandazione B ICI, livello di evidenza 2b EAU). Tale giudizio è confermato anche dalla Regione Veneto che, con il Decreto del Direttore generale dell’Area Sanità e Sociale n. 58 del 15.06.2016, ha emanato le “Linee di indirizzo regionali per l’utilizzo di sfinteri urinari artificiali, sling e neurostimolatori sacrali nell’incontinenza urinaria e fecale”, con cui si stabilisce che «Lo sfintere urinario artificiale deve essere offerto agli uomini con incontinenza da sforzo (SUI) post-prostatectomia da moderata a severa, a seguito di fallimento della terapia conservativa» [5]. Il paradosso dell’impianto di AUS è che, pur essendo una soluzione terapeutica eccellente e costo-efficace per i pazienti con incontinenza urinaria da moderata a grave, la maggioranza dei candidati non ne ha accesso. Come evidenziato dalla analisi delle Schede di Dimissione Ospedaliera (SDO) 2016 [6], in Italia vengono effettuati non più di 240 impianti all’anno a fronte di una stima media di circa 1.000 pazienti/anno che vivono con incontinenza non risolta con terapia conservativa. Tali numeri dimostrano un evidente sottoutilizzo della tecnologia di elezione per questi pazienti. Le barriere all’adozione della soluzione chirurgica sono diverse; tra di esse si annoverano la scarsità di informazione adeguata ai pazienti e la mancata allocazione di risorse – economiche e professionali – adeguate a garantire la procedura: spesso gli ospedali hanno pochissime unità/professionalità disponibili, con lunghe liste d’attesa, e un rimborso inadeguato a coprire i costi della procedura da parte del Servizio Sanitario Regionale/Nazionale (SSR/SSN) [7]. Questi fattori disincentivano il ricorso all’impianto dell’AUS anche laddove clinicamente appropriato, determinando un trattamento insufficiente e inadeguato della popolazione eleggibile. Alla luce dell’analisi HTA condotta, sarebbe auspicabile un intervento normativo che riconosca dignità e valore all’impianto dell’AUS post-prostatectomia radicale, laddove la terapia farmacologica si rivelasse insufficiente alla soluzione del problema. L’analisi ha dimostrato come incrementando il numero di soggetti trattati con AUS (+29 pazienti trattati con il gold standard AMS 800TM [8]) rispetto alla terapia conservativa si verifichi un importante incremento della qualità di vita dei pazienti (rapporto di costo-efficacia altamente positivo e in alcuni casi dominante) accompagnato da una consistente riduzione del costo legato alla terapia conservativa (pannoloni). Si tratterebbe di un numero limitato di procedure, che consentirebbe, però, di migliorare notevolmente la qualità della vita dei pazienti interessati da questa condizione.

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