Enthymema (Dec 2019)

La parola silenzio

  • Mario Ajazzi Mancini

DOI
https://doi.org/10.13130/2037-2426/12590
Journal volume & issue
no. 24

Abstract

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Questo lavoro indaga la figura del silenzio, come si sviluppa in alcuni poemi di Paul Celan. In particolare, analizza l’argumentum e silentio, un’inferenza vera basata sul tacere o sulla mancanza di risposta. In questo silenzio è in gioco la morte della lingua. La lingua tedesca, che è la lingua materna del poeta. Violentata dai nazionalsocialisti e annientata nei forni crematori. La domanda riguarda come sia possibile continuare a scrivere poesia in questa lingua, e come la poesia possa sostenere ancora il mandato etico che le impone di sottrarsi a quella violenza e all’imbarbarimento. Non solo, ma anche come sia possibile, attraverso la poesia stessa, riappropriarsi di quella lingua come lingua materna. A tale proposito, Celan propone un erschwiegene Wort, una parola che sia vinta, conquistata, strappata al silenzio dell’annientamento, e allo stesso tempo una parola silenziata: la parola silenzio. Una parola detta in silenzio che riconduca il più vicino possibile alle spoglie di quella lingua; tanto vicina da mostrarne l’unicità, da rivelarne le pause e le scansioni che la definiscono in proprio rispetto ad ogni altra. In tal senso, si potrebbe affermare che ogni lingua è materna nel modo in cui trova ritmo e misura rispetto a quanto non può dire. Al silenzio in cui tace (e muore) e su cui si articola, parla ed è messa in funzione. La lingua compie un’azione. Nella poesia di Celan è indicata dal termine Spruch. Gesto, come propongo di tradurre: attività e sospensione allo stesso tempo. Il gesto dà corso all’azione e la lascia in sospeso, non la conclude. Solo così può mostrare che la lingua c’è ed è materna. E che, in fine, le parole di questa non sono che ‘puri gesti’ – Unworten, come li chiama Celan. Testimoni veridici di qualcosa che c’è perché non c’è più.

Keywords