Bollettino Telematico di Filosofia Politica (Jul 2012)
Democrazia e potere giudiziario nel pensiero di Tocqueville
Abstract
Nella sua recensione al secondo volume della Democrazia in America John Stuart Mill proponeva una vera e propria chiave di lettura dell’opera del pensatore francese. Con il termine “democrazia – scriveva il filosofo inglese – Tocqueville non intende, in genere, uno specifico tipo di governo. […] Per democrazia [egli] intende eguaglianza delle condizioni, e l’assenza totale dell’aristocrazia, sia essa costituita da privilegi politici o dalla superiorità conferita dall’importanza e dal potere sociale. […] [Nelle istituzioni democratiche] Tocqueville non vede un aggravamento dei più seri mali tipici di una condizione democratica della società, ma piuttosto un loro correttivo”. Soltanto tenendo ferma la distinzione analitica tra assetto sociale e istituzioni politiche si poteva cogliere l’originalità della posizione di Tocqueville nei confronti della democrazia rispetto alla maggior parte dei suoi contemporanei i quali, prigionieri del ricordo dell’esperienza giacobina, non si rendevano conto che, “per combattere i mali che l’eguaglianza può produrre, c’è un solo rimedio efficace: la libertà politica”. La chiave di lettura suggerita da Mill, per quanto acuta e illuminante, necessita tuttavia di un’integrazione. Se è vero che le istituzioni della democrazia politica rappresentano utili rimedi per eliminare, o comunque attenuare, le conseguenze negative prodotte dall’assetto sociale democratico, è altrettanto vero che il mantenimento della libertà in una società in cui si è affermata e consolidata l’égalité des conditions ha bisogno anche di istituzioni e di vincoli ulteriori. È partendo da questa considerazione che si può tentare di comprendere il ruolo centrale che nell’opera di Tocqueville, globalmente considerata, assumono le riflessioni sul rapporto tra democrazia e potere giudiziario. Il pensatore francese ne parla diffusamente nel suo diario di viaggio e soprattutto nel primo volume della Democrazia in America, là dove descrive le forme particolari in cui quel potere si incarna negli Stati Uniti, per poi ritornarvi anche nel secondo volume, in quella celebre quarta parte in cui, avendo in mente soprattutto le difficoltà della Francia nella transizione verso la democrazia, tratteggia le caratteristiche di una nuova forma di dispotismo che potrebbe minacciare le società democratiche. Né mancano i riferimenti a questo tema nell’opera dedicata all’Ancien Régime e in scritti minori, dove l’interesse di Tocqueville si focalizza sul contenuto e sulle origini di una nuova branca della giurisprudenza, il diritto amministrativo, e sui rischi per la libertà individuale derivanti dall’istituzione di tribunali speciali per risolvere i conflitti tra l’interesse dell’amministrazione pubblica e quello dei privati cittadini. Si è molto discusso sull’opportunità di attribuire all’autore della Democrazia in America la qualifica di giurista e sull’importanza della sua opera nell’ambito degli studi giuridici. Del resto, lo stesso Tocqueville, non appena ricevuta la nomina a giudice uditore al tribunale di Versailles, confessava all’amico Kergolay tutte le sue perplessità sulla nuova carriera, temendo “di diventare con il tempo una macchina del diritto” come la maggior parte dei futuri colleghi, “persone speciali, se mai ce ne furono, tanto incapaci di giudicare un grande movimento e di condurre una grande operazione, quanto sono adatti a dedurre una serie di assiomi e a trovare analogie e antinomie”. Si può certamente concordare con il giudizio espresso da Lucien Jaume, secondo cui Tocqueville, proprio alla luce delle sue analisi sul potere giudiziario negli Stati Uniti, dovrebbe essere considerato “più che un teorico del diritto, […] un osservatore delle istituzioni” o “del gioco giuridico-istituzionale”. Ciò non deve indurci tuttavia a sottovalutare o, peggio ancora, a non tener conto della rilevanza che la meditazione sulle questioni attinenti al diritto ha avuto nello sviluppo del suo pensiero. Un errore che non è stato commesso da Jean-Claude Lamberti, il quale ha osservato: “Per quanto sparse, brevi e non sistematiche, le sue visioni sul diritto esprimono una concezione coerente e originale e sfociano in riflessioni molto in anticipo rispetto ai suoi tempi. Sullo sfondo delle descrizioni della Democrazia in America, Tocqueville contrappone sempre in modo molto suggestivo la continuità delle fonti del diritto e l’empirismo angloamericano al razionalismo giuridico dei francesi e alla pretesa dei rivoluzionari di fare tabula rasa del passato per costruire un nuovo diritto”. Le pagine che seguono sono un tentativo di approfondire questo giudizio e di mostrare come molte delle analisi di Tocqueville rappresentino ancora un valido aiuto per la comprensione del ruolo delle istituzioni giuridiche nelle società democratiche contemporanee.