M@GM@ (Apr 2018)
Nu piezz’ ‘i stoffa , ianca, r’ ‘a bannera - Storia di una trasformazione nella continuità
Abstract
Questa è la storia di una trasformazione: un giovane ufficiale fascista, entusiasta della guerra, si trova, l’indomani dell’8 settembre, a dover decidere se il giuramento di fedeltà al re e alla patria, prestato nel corso del suo arruolamento volontario, dovesse implicare la sottomissione ai tedeschi, ormai alleati di Mussolini. Al suo diniego, assieme ad altri ufficiali è caricato su un treno con destinazione i campi di detenzione per internati militari. Porta con sé nascosta una bandiera con lo stemma sabaudo, che conserverà durante le peregrinazioni nei vari campi in Polonia e Germania, come simbolo di patriottismo e di fedeltà, quindi simbolo di continuità con la sua vicenda precedente, ma a cui arriverà ad attribuire un significato molto diverso, un’idea di patria e di Italia assai lontana da quella con cui era partito per l’Albania e per la Francia solo pochi mesi prima. Ed è la storia della forza di volontà, della capacità di immaginare soluzioni, di non farsi confinare nella prigione di un presente oscuro, di farsi sorreggere dal pensiero di un futuro tutto da riconquistare grazie a quell’intreccio fra fede nella fortuna e ostinata determinazione che gli ha reso possibile di sopravvivere in condizioni di detenzione, fame e umiliazioni continue, senza soccombere né fisicamente né moralmente. Questa storia è ricostruita a partire dall’epistolario familiare, prima, durante e dopo la prigionia, soprattutto con la sua futura moglie Rosetta Vomero, e dalle poesie scritte anni dopo da Mario Eboli in dialetto cilentano raccolte nel volume E mo’ currite, di cui la più lunga e suggestiva, “’A priggionia”, racconta i due lunghi anni tra la sua cattura il 9 settembre del 1943 e il ritorno in Italia nel settembre del ’45.