Lingue e Linguaggi (Dec 2015)
“Wit larded with malice” – Translating Shakespeare’s culinary language
Abstract
Abstract - Evidence of Shakespeare’s interest in food preparation and cooking is recurrent throughout his works, though the difficulties provided by the translation of such figurative language have attracted much less interest among scholars. Building on some earlier research (Scarpa 1995a, 1995b) and some more recent publications (Fitzpatrick 2007, 2011) on the language of food, taste and cooking in Shakespeare’s plays, the paper discusses some instances of the translation into Italian by different translators of this often very culture-specific knowledge and terminology in terms of the difficulty of translating such imagery in the target language when trying to maintain the language of food. This specialized language may in fact be considered to fall into the Bard’s language of “things” and, as such, stands most in danger of becoming archaic and posing a problem for translators with a different historical and cultural background. The examples will mainly be drawn from the two practical operations of the baking of bread, cakes and pastry, and the preparation and cooking of meat. It will be argued that the translation approach most suited to all food references in Shakespeare’s plays is a reader-centred approach and in the conclusion some remarks will also be made on other reader-centred approaches to Shakespeare’s language outside the boundaries of Translation Studies which can have a positive impact on revitalizing Shakespeare for a contemporary audience. Riassunto - Sebbene l’interesse di Shakespeare nei confronti delle diverse modalità di preparazione e cottura del cibo sia ben documentato in tutta la sua produzione, la difficoltà di tradurre le immagini legate al linguaggio culinario – figurato e non – nelle sue opere è una tematica che ha tuttavia attratto relativamente poco interesse da parte degli studiosi di traduzione. Traendo spunto da una ricerca intrapresa molti anni fa (Scarpa 1995a, 1995b) e da alcune pubblicazioni più recenti (Fitzpatrick 2007, 2011) sul linguaggio shakespeariano in riferimento al gusto, al cibo e alla sua cottura, nell’articolo vengono presentati alcuni esempi delle diverse traduzioni in italiano del linguaggio e della terminologia – storicamente distanti da noi e spesso culturalmente connotati – che veicolano il sapere culinario di Shakespeare, evidenziando le difficoltà incontrate dai traduttori per cercare di mantenere le immagini gastronomiche anche nella lingua di arrivo. Questa lingua altamente specializzata può infatti essere fatta rientrare in quel più ampio “linguaggio delle cose” del Bardo che è maggiormente a rischio di diventare arcaico e di diventare quindi un problema di traduzione per epoche e contesti culturali diversi. Gli esempi sono stati tratti soprattutto dalle fasi di due diverse operazioni culinarie: la preparazione e cottura del pane e dei dolci, e la preparazione e la cottura della carne. L’approccio del traduttore che viene considerato più adatto a tradurre i riferimenti al cibo nelle opere di Shakespeare è quello che si incentra sul lettore di arrivo. In sede di conclusione verrà fatto riferimento anche ad altri approcci al linguaggio shakespeariano che, pur essendo al di fuori dei confini dei Translation Studies, sono anch’essi incentrati sul destinatario in quanto finalizzati a rivitalizzare il teatro di Shakespeare per un pubblico contemporaneo.
Keywords