Italian Review of Legal History (Oct 2024)

Carte e notai nelle legislazioni del Regnum Langobardorum e del Regnum Italiae. Qualche riflessione su un tema controverso

  • Claudia Storti

DOI
https://doi.org/10.54103/2464-8914/26128
Journal volume & issue
no. 10/1

Abstract

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Quanto la storia del notariato può servire per affrontare lo studio del documento notarile o viceversa quanto lo studio del documento può servire allo studio del notariato? Il tema è stato ampiamente studiato sia dagli storici del diritto sia dagli specialisti delle tante discipline coinvolte nell’approfondimento della materia delle carte e dei lor redattori (storia del ceto, storia del documento, paleografia e scrittura, diplomatica) con ricerche ora di carattere generale ora mirate all’analisi di particolari aree ora con riguardo a specifici spazi temporali. Nonostante la frammentarietà della documentazione, si è così fatto luce sia sulla storia delle carte e del notariato, sia su innumerevoli varianti dovute alle diversità sociali e organizzative di singoli ambienti in determinati periodi. Per quanto concerne l’alto medioevo, ritengo che qualche ulteriore indicazione possa essere desunta dalla sequenza cronologica degli editti longobardi e delle leggi del regno italico. Questi testi, oltre, a prescrivere le regole per il compimento di specifici atti giuridici e per la redazione delle relative carte, ne indicavano i responsabili della corretta applicazione. L’esame di tali norme ci aiuta anche a comprendere quali preoccupazioni movessero, nei singoli momenti storici, i legislatori e quale fosse il loro intento: innanzitutto, garantire la corrispondenza alla legge e l’effettività delle carte ed evitare il più possibile l’insorgere di controversie tra le parti coinvolte e prevenire controversie giudiziarie o facilitarne la soluzione. Il riconoscimento, avvenuto soltanto nel XII secolo, della fides di coloro che scrivevano le carte in quanto titolari di quello che noi definiamo come un ufficio pubblico fu l’esito non scontato e forse non previsto di un cammino lentissimo nel quale fu prevalente il tentativo dei legislatori di contrastare comportamenti perversi o ripensamenti comunque contrari agli impegni assunti di coloro che volevano negare o aggirare l’efficacia di quelle scritture, talora da loro stessi commissionate. È da questa prospettiva che si potrebbe, dunque, prendere avvio per analizzare il ‘doppio binario’ dei legislatori e i presupposti normativi di un secolare percorso attraverso l’ideazione e la standardizzazione dei requisiti sia di alcuni atti giuridici, sia dell’attività di coloro che ne scrivevano le carte. Da storico del diritto ho scelto, per così dire, di ricominciare da capo per ripercorrere in prospettiva cronologica la successione delle leggi dei regni longobardo e italico mettendo in connessione le prescrizioni relative ai requisiti di carte concernenti specifici atti giuridici con la disciplina dell’attività di coloro che erano incaricati di scriverle. Proprio nel riflettere sulla sequenza di tali disposizioni e della loro ratio, è possibile tracciare un itinerario tra questioni e contesti per individuare la ricorrenza di specifici campi di tensione tra i governanti, i redattori dei documenti e i loro ‘clienti’, originati, secondo i legislatori, da uno dei maggiori problemi del diritto vivente ossia da una generalizzata assenza di quella che noi chiamiamo buona fede.

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